Scale Mobili di Lina Maria Ugolini

  • testata: Bellini News
  • Data di pubblicazione: 05-08-2016

Scale Mobili

di Lina Maria Ugolini

Da sinistra: Gianni Salvo, Lina Maria Ugolini e Giuseppe Montemagno.

Chi scende e chi sale, negli ingranaggi della vita di Scale mobili, l’ultimo romanzo breve della scrittrice, poetessa e musicologa catanese Lina Maria Ugolini, edizioni Splen, presentato a Nicolosi dal professore e musicologo Giuseppe Montemagno che ha conversato con l’autrice accanto all’attore Gianni Salvo, nei locali di Volcano House. Sette storie raccontate fra lo scorrere delle vite di dieci personaggi differenti, ma omologati dai binari su cui si trovano; personaggi che l’autrice pone sull’andirivieni di quel meccanismo dai gradini metallici che vedrà consumare il loro cammino precario o destino inesorabile nel mondo post-moderno, al quale ha contribuito appunto l’invenzione delle scale mobili da parte di Jesse Wilford Reno alla fine dell’Ottocento, citato nel libro. Un’ intuizione geniale, “metafora” per la Ugolini di un mondo fatto a scale, come si dice nella brevissima nota introduttiva, per chi si affida ad esse quando la volontà non può più modificare il corso degli eventi dopo aver perso quel fatidico treno che passa una volta nella vita.

La narrazione, che procede per piani paralleli, espletandosi nell’arco temporale di una mattinata, ha inizio nel mese di maggio, aperta dal profumo delle rose, per le quali non basta mai il tempo di ammirarle, di contro all’atmosfera grigia e maleodorante di una stazione metropolitana di Roma, che vede già il primo avventore, una donna di nome Michela (la quale non vivrà a lungo a causa della sua malattia). È questo l’incipit d’effetto conferito all’incontro, dalla profonda voce di Gianni Salvo, in un libro “ben congegnato”, al tempo stesso un “romanzo corale”, come lo definisce Montemagno, dove si coglie il distacco oggettivo e ironico di chi racconta al plurale fatti e personaggi che scaturiscono dall’osservazione, col margine dell’ampio scarto inventivo, certamente- ha specificato la Ugolini-ma con quel necessario “spassionarsi” da ciò che si narra per descrivere il tutto oggettivamente in chiave universale. Obiettivo essenziale per la scrittura, che la scrittrice mette in atto nel ritrarre anche il dolore, mettendo da parte questa volta anche la poesia, anzi rifiutandola, come ci dice lei stessa, a partire da “un’abrasione, un grado zero del sentire che tiene a bada ogni emozione”, nel citare un passaggio da “Compassione. Storia di un sentimento” del critico letterario Antonio Prete. Le storie, pezzi di un puzzle collegati da un titoletto, un punto di sutura, sveleranno una “complessità nascosta”, portata avanti da uno stile fluidissimo, col quale l’autrice riesce a creare una contemporaneità di situazioni, con tagli e ricucite ad hoc per ritrovare le fila del discorso: ogni personaggio soffre di una mancanza cronica, è parte di una massa umana “in via di collocazione”, che sui gradini veicola anche ciò che ha perduto, come una laurea, la possibilità di avere dei figli, un lavoro. Scale mobili come sinonimo di modernità, dice il relatore; in una società del terzo millennio caratterizzata da mobilità sociale, meccanizzata e informatizzata, dove sarebbe necessario incrementarle in rapporto alla massa demografica, per ridurre al minimo la fatica che l’uomo di oggi tende a eludere; lo dimostra anche il suo affidarsi alla rete telematica dei tablet sui quali basta toccare lo schermo per trovare “quel tutto necessario da sapere”, senza poter mai assaporare la brezza di un vento imprevedibile come tra le pagine di Virginia Woolf. In un mondo che la Ugolini definisce “veloce, comodo e automatico” affetto dalla piaga del consumismo, insito in quel nastro trasportatore solcato ogni giorno da “compratori solerti e scalpitanti”, uomini divenuti tasselli di un ingranaggio che si avvia verso la totale alienazione e indifferenza. Frutto di automatismi che già nel 1936 Charlie Chaplin metteva in scena col film “Tempi moderni” (del quale uno schermo proiettava qualche scena), dove il protagonista Charlot diventa bullone di una catena di montaggio che lo porterà alla follia.

La scrittrice non risparmia punte satiriche e caustiche di un’Italia poco edificante, gestita da una classe politica lontana dalle ragioni della cultura, e che appunto nella cultura investe sempre di meno: ne è un esempio un personaggio, l’assessore alla cultura Silvio Bocalli (accompagnato dal suo ghost writer Giacomo Pirilli), che, mentre sale sulla scala mobile, progetta di inventare un pasticcino a forma di libro per lanciare una biblioteca in provincia di Pavia. Sulle variabili di amore musica e arte si dipanano le altre storie, come quella di Arturo Contini, genio del pianoforte, che per sottrarsi al dominio di una moglie rigida e soffocante, si rifugerà nella relazione con la bella Linda (anche sulla scala della Rinascente milanese), anch’essa con la passione per la musica, un vero e proprio colpo di fulmine sancito dal “presto con fuoco” della Ballata n. 1 in sol minore di Chopin ( della quale è stato offerto un piacevole ascolto); o quella di Iva e Nora, sulla scala mobile della stazione Porta Susa di Torino, insieme da anni pur nella loro diversità, la prima insegnante, la seconda attrice (che partirà alla volta di Parigi), sino al troncamento della loro relazione. L’ingenuità fuori tempo invece si incarna in Cinzia, che ancora a cinquant’anni si circonda di bambole sognando per loro un bel futuro, e cercandone ancora nel magazzino Made in Italy; e non da meno ingenuità, amarezza e speranza sono un tutt’uno per il barbone N, che, condannato alla sua sciattoneria, sosta su una scala mobile spenta all’aeroporto Leonardo Da Vinci, e al quale toccherà il compito di far rivivere il clown Cirillo, come ai tempi del “fantastico Circo Petri” usandone la tromba e un vecchio costume, trovati rovistando nella valigia abbandonata che gli è accanto. Ma la corruzione e la crudezza del mondo attuale non consentono di apprezzare un semplice clown capace di sognare una ballerina in tutù rosa, o che suona la tromba in una pista solitaria, ma piuttosto una musica più chiassosa con piroette fantastiche o spettacoli sanguinari, in linea con gli orrori quotidiani. In questa società, afflitta da una crisi dei valori, dove homo homini lupus , dove la cultura è una sfida, una conquista che ha bisogno di scale ardite, anziché sentieri spianati, forse l’aridità stereotipata di un meccanismo come quello delle scale mobili (attenuato alla fine dal sottofondo di My way) pur affrontando ciascuno la vita a modo proprio, si smorzerebbe se soltanto ci accorgessimo della nostra umanità e di chi ci sta accanto.

Anna Rita Fontana

5/8/2016